giovedì 5 ottobre 2017

IL LIBRO DEL MESE:


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Amazon.it: Amilcare Stocchetti: Libri

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L'AUTORE:                                                                                                                     


Amilcare Stocchetti, nato a Brescia, docente ordinario di matematica e fisica nelle scuole superiori cittadine, ha esordito come scrittore nel 2010, rivelando tutta la sua prorompente e poliedrica personalità artistica. 
Il genere prescelto fu quello del racconto breve, spesso persino brevissimo, il modus narrandi delle favolette, minifiabe e novelline nelle quali sfiniscono, tra cose-uomini-animali e Dio, i sogni e le riflessioni di oggi e di sempre.  E' così che nacque l'opera prima, dal singolare titolo Trotaze la trota kamikaze, pubblicato per i tipi della bresciana Editrice Lumini e scritto a quattro mani col fratello Marco. 
L'Autore al suo esordio si segnala subito per una scrittura distesa ed essenziale, dove allargamenti e scorciatoie vi convivono senza conflitti. Ma soprattutto per gli intendimenti ironici, le tenere tonalità, gli stupori divertiti, le icastiche visioni.
Questo originale bagaglio espressivo e ideologico perviene ad esiti maturi nell'opera seconda, Il giraluna, pubblicato nella collana i Salici da Montedit Editrice (Bergamo, 2011), sempre in collaborazione con il fratello Marco e con gli originali disegni di Rossana Giliberti.
Si tratta di un altro stravagante quanto paradigmatico titolo, desunto dalla toccante storiella del girasole Enrico che abbandona il sole per seguire la luna trasformandosi, appunto, in giraluna. Questo secondo lavoro, che del primo è speculare e seguito, ne continua il genere, ne dilata i contenuti e ulteriormente prosciuga la lingua raggiungendo una densa e rarefatta concisione espressiva.
E insieme ritornano gli ingredienti tipici di questa narrativa: l'ironia, l'assurdo ed il caratteristico ed incisivo finale a sorpresa, a cui si aggiunge una nuova vena malinconica davanti alla perduta saggezza ed alla dilagante stupidità che connotano questo nostro complesso e variegato tempo.
Il triennale laboratorio di lingua e idee sfocia nel 2013 nel Romanzo. E' il momento di Olena, occhi verdi color d'acqua marina, una spy-story ambientata tra Brescia, Monaco e Mosca, ma anche un'intensa storia d'amore che si sviluppa all'interno di un tumultuoso intrigo internazionale. Non si tratta però di un thriller scritto da un giallista, bensì di una vera e propria opera narrativa, dove piano rappresentativo e piano descrittivo si intersecano sapientemente, anche se spesso a tutto vantaggio del secondo. A dimostrazione di una raggiunta maturità psicologica dell'Autore che svela definitivamente la sua vena lirico-malinconica.
Non a caso quindi nel 2015 appare una raccolta di poesie dal titolo Ombre della sera, dove quella vena ha modo di dispiegarsi in un alveo più naturale, quello del verso, disteso e franto, raccolto e disperso. La cornice è quella della marina friulana, di spiagge e vele, e poi di campagne sullo sfondo delle Alpi Carniche, un mondo naturale ed umano che sopravvive dopo la rimpianta perdita della cultura contadina, lasciando al suolo ombrelloni e spazi deserti.
Il 2017 è l'anno di Quattro padri, il secondo Romanzo che qui di seguito presento e del quale pubblico il Capitolo 1°.
Attualmente l'Autore è alle prese con il suo terzo Romanzo, Torre armena, ma questa è un'altra storia.    


PRESENTAZIONE:                                                                                                        

Una compagnia di amici, campionario assortito di varia umanità, intraprende un viaggio turistico in Spagna, dove vicende d'amore, storia, passato che riaffiora, si intrecciano, si annodano, si sciolgono fino all'idillio della conclusione.


L'animatore della brigata è un professore precario di storia dell’arte, in attesa di supplenza,  che accetta la bonaria sfida di un amico: organizzare un tour.
Il professore raccoglie così un gruppo di otto adulti, credendo di condurli attraverso l’itinerario prestabilito. Al contrario, attraverso gli splendidi paesaggi dell’Andalusia, ciascun personaggio si trasformerà in giuda e porterà a termine il viaggio a suo modo.
Al professore stupito non rimarrà altro che prendere atto della situazione, ma lo stupore diventerà sconcerto quando l’ultimo personaggio gli rivelerà il motivo della sua presenza. 
Tale rivelazione lo aiuterà a compiere la sua scelta di vita, cioè a non concludere l’itinerario, o meglio a concluderlo a proprio modo.




COMMENTO                                                                                                        


Dopo il movimentato intrigo internazionale di Olena, questo secondo romanzo appare più nostrano e teatrale, direi più "commedia italiana", pur non rinunciando alla trasferta estera. Ma la Spagna c'è solo per il paesaggio, l'arte e la storia, mentre la vita è sempre italiana, popolata com'è di una galleria di personaggi che sono quelli di una commedia, appunto, con tanto di lieto fine.
Ma c'è una novità: questa volta il piano rappresentativo prende il sopravvento su quello descrittivo, sia pur intenso liricamente. Quasi un originale miscuglio di narrativa e teatralità, che farebbe presagire ad un nuovo sbocco dell'Autore, il genere teatrale, a confermare quanto poliedrica sia la sua arte.


ESTRATTO:                                                                                                                     

CAPITOLO 1°

La collina che declina a lago aveva indossato i colori dell’autunno e la neve che sovrastava il Baldo faceva calare un vento più fresco del solito sulle acque lucenti del Garda. Isacco Bianchetti viveva in una tipica casa padronale a ridosso delle sponde circondata da un oliveto ben curato e ben tenuto. Era tempo di raccolto, e poiché non aveva ricevuto la supplenza di storia dell’arte come tutti gli anni, si dedicava tutto il giorno alla raccolta delle olive. Isacco usava la brucatura a mano, il metodo più dispendioso e più lento, ma senza dubbio il migliore per non rovinare le piante.
Poi sistemava gli attrezzi per curare gli ulivi ed attendeva dalle scuole una chiamata; non era ancora di ruolo, ma come capita in Italia vagava da scuola a scuola con la speranza di un concorso dove poter dimostrare le proprie abilità. I suoi trent’anni erano giunti presto nell’incertezza lavorativa che aveva contribuito e non poco alla sua instabilità sentimentale.

Quindi, per macinare, le olive le portava al frantoio del Carlo, il simpatico vicino che aveva anche un campeggio per turisti.
Quella mattina Isacco entrò nella tenuta del vicino con le sue olive e disse “Carlo ma aidèt” (Carlo, mi aiuti?); in queste zone il dialetto è d’obbligo per chi ha avuto la fortuna di studiare quando si rapporta ad un altro del paese. Un modo elegante e sensibile per non creare un distacco con le persone vicine.
Carlo con un italiano stentato e mescolato alla variante lacustre della lingua bresciana rispose
“Se riesci a ripararlo, l’olio che ricavi è tutto tuo”.
Disse così poiché era da sempre costume che chi macinava si trattenesse il 50% e continuò
“Non capisco perché non funzioni? Dagli una occhiata?”.
Isacco si inginocchiò e osservò la struttura, mentre il suo amico si sedette sulla sedia a paglia allargando le gambe, per far posto a quella pancia che ormai lo caratterizzava.
Non era facile ripararlo, andò a casa e tornò con la scatola di attrezzi vecchia, quella del nonno, quella che lui considerava magica, con ancora inciso il motto del partito che aveva spopolato in quegli anni. A leggere lo slogan, Carlo sorrise ed incrociò le braccia bofonchiando delle incomprensibili espressioni dialettali. Era un uomo sulla settantina che, oltre a gestire il proprio camping, aveva investito in appartamenti e terreni, ma che, non avendo eredi e non essendo sposato, aveva iniziato a trascurare.

Verso mezzogiorno, dopo una mattinata di lavoro, il frantoio iniziò a macinare tra i sorrisi del vecchio, intento a cucinare un po’ di polenta, ed un soddisfatto Isacco.
“Povero ragazzo”.
Pensava Carlo.
“Tanto intelligente e istruito ma disoccupato. Avessi avuto io un figlio così, non gli avrei fatto studiare architettura, non gli avrei lasciato girare il mondo, ma l’avrei tenuto qui accanto a me. Che se ne fa dell’inglese e dello spagnolo? A rifletterci, potrei dargli in gestione il camping per il prossimo anno o venderglielo addirittura”.
A tavola discussero dei tempi andati e Isacco chiese a Carlo di raccontare tutti gli episodi che coinvolgevano la famiglia Bianchetti, di sua madre, che aveva conosciuto poco e di quella figura mitica del paese che era il nonno Alfredo e con il quale Isacco aveva abitato quando suo papà aveva deciso di risposarsi.
“I tuoi genitori erano molto riservati, al contrario tuo nonno ha sempre partecipato alla vita del paese, sostenendo che è dovere del singolo cittadino impegnarsi, senza aver la stanca pretesa che tocchi sempre allo Stato.  Tuo nonno agiva così anche nei rapporti personali, dimostrando un’attenzione scrupolosa e una disponibilità disinteressata”.
Isacco guardò fuori dalla finestra e riprese
“Ho nostalgia del profumo di tabacco delle sue mani, fumava le alfa senza filtro, ricordi? La sigaretta del popolo”.
“Le alfa semplici con il veliero sulla confezione” confermò Carlo.
“Riusciva a lavorare in campagna con la sigaretta in mano”
“Memorabile era la usa abilità nella potatura, veniva ingaggiato da tanti proprietari di uliveti” ricordò Carlo.
“Inoltre mi ha insegnato tutto sulle olive e mi ricordo quel suo momento di sconforto quando fu lanciato l’olio di semi e più nessuno voleva comprare l’olio d’oliva. In televisione si vedeva a tutte le ore quell’attore saltare la staccionata”.
Carlo annuì e ribatté “In quegli anni riuscivamo a vendere solo ai tedeschi”.
Sapendo che l’amico era una delle memorie storiche del paese, il giovane insistette:
“Raccontami dei miei genitori?”.
“Ma tuo nonno non ti parlava dei tuoi”.
Ad Isacco questa risposta parve strana, poiché Carlo era sempre stato un uomo diretto e gentile.  
 E riprese “Mio nonno è stato un po’ tutto per me, papà e mamma, ma non era di molte parole, anzi mi raccontò solo che, dopo la morte della mamma, non volendo disunire la famiglia, aveva lasciato al suo genero un appartamento, anche se si era risposato, per tenere la famiglia unità. In fondo mio padre era cugino di secondo grado di mia madre e portava il medesimo cognome”.
Carlo ascoltò e rispose “Nei nostri paesi i cognomi sono pochi, infatti mia mamma ha il tuo stesso cognome”.
Si interruppe e riprese “A 11 anni ero già un piccolo manovale, e ho lavorato per anni nei cantieri e non avevo certo tempo per soffermarmi ad osservare gli altri, tornavo a casa sempre distrutto. Ricordo il funerale di tua madre, non avevo mai visto tanta gente in chiesa, ma per il resto, non ricordo dettagli”.
Isacco vide l’amico intristirsi e abbandonò il discorso, dispiaciuto di essersi comportato in modo infantile, in fondo ormai la vita aveva macinato tutto.
L’adolescenza di Isacco era stata serena: la vita in parrocchia, le estati a tuffarsi nel lago, la scuola regolarissima. Circondato da tantissimi affetti, aveva il rammarico di non essere riuscito a conoscere veramente i propri genitori poiché la madre era morta quando lui aveva tre anni, mentre il padre aveva dovuto accudire i due nuovi arrivati del suo secondo matrimonio e quando Isacco aveva 22 anni era tragicamente scomparso in un incidente stradale. Tuttavia il nonno materno aveva con impegno sopperito a tale mancanza, con i suoi modi garbati e fermi, ma comunque capaci di tenere a bada un nipote che cerca la propria via nelle difficoltà della vita.
L’interesse per l’arte gli era stato trasmesso dal parroco, il Don Stefano, che pittore, aveva abbandonato tutto per seguire la via del Cristo. Dopo il catechismo si fermava ad osservare le opere gelosamente conservate in parrocchia, iniziandosi al gusto del bello e alla difficile arte di riprodurre su tela.
“Perché hai scelto architettura e non ingegneria, forse avresti avuto più possibilità?” chiese Carlo.
“Sognavo di diventare un archistar ”.  
“Lavora per me? Anzi! Perché non rilevi il mio camping? L’arte è bella, ma al giorno d’oggi non dà garanzie”.
Isacco non scartava a priori tale proposta, ma, sentendosi ad un passo dall’assunzione nella scuola, credeva che la sua vita fosse ormai segnata. Tuttavia, nel mondo dell’amministrazione pubblica non esistevano certezze, era una specie di bosco incantato, in cui un sasso poteva trasformarsi in un masso e schiacciarti all’istante. Un luogo in cui, a un passo dal traguardo, interveniva una nota ministeriale esplicativa che bloccava la tua assunzione a favore di altri colleghi che avevano presentato un ricorso in chi sa quale anno a violazione di chi sa quale regola, per poi scoprire che tra questi c’era la moglie del ministro. Queste angosce gli incresparono la fronte, ma nessuno se ne accorse e così l’aspirante docente riprese prontamente.
“Ho trentatré anni, insegno da 9, mi sembra strano cambiare ora”.
“Ma il tuo lavoro precario non ti consente di progettare il futuro. Inoltre chi ti osserva crede che tu non sia un tipo affidabile.  Le ragazze guardano anche alla posizione del proprio uomo” ribatté Carlo in un italiano stentato nella forma, ma chiaro nella sostanza”.
Isacco restò perplesso dal discorso ruvido, ma non offeso perché capiva che l’amico voleva aiutarlo, anche se sentiva la sua libertà un po’limitata.
“I soldi non sono tutto, e anche tu sei single, è il male della nostra epoca, ricorda che chi è sposato non se la passa meglio”.
Le parole di Carlo avevano comunque creato una piccola breccia nelle certezze del giovane, lo stipendio da docente era irrisorio se paragonato a qualsiasi altra professione.
“Forse cercare un’altra via non avrebbe fatto male. Ma che lavoro? In Italia? o cambiare radicalmente vita, cambiando addirittura continente?” pensò Isacco.
In fondo conosceva bene sia l’inglese che lo spagnolo ed il contatto con i tedeschi lo aveva almeno alfabetizzato nella lingua di Goethe.


Durante il pranzo si presentò Franco Barbieri detto il Barba che, non trovando Isacco a casa, aveva intuito dove potesse essere.
Nel vederlo Carlo esclamò “C’è qui il buon tempone …sei venuto ad aiutarci?”.
Franco lo guardò sorrise “Se avanza un boccone, lo finisco volentieri”.
Con grande gentilezza, insospettabile per un uomo così grosso, Carlo gli porse un piatto di polenta e una fetta di formaggio con un poco di olio d’oliva, dicendo l’immancabile battuta “eccoti sicerì”. (Significava essere un pozzo senza fondo).
Franco si sbottonò la giacca e si mise a tavola, era da un po’ che nessuno gli preparava nulla.
“Di cosa stavate parlando?” riprese Franco, “di quale nuova novità?”
E subito Carlo intervenne “Vorrei che Isak cambiasse lavoro, lo vedo troppo mortificato, ingiustamente mortificato”.
Franco, che non aveva mai avuto problemi con la ditta gestita dal padre, alzò le spalle, non sapendo che dire, e come tutte le persone che non sanno cosa dire, buttò lì un suggerimento
“Fai la guida turistica! Sì, la guida turistica”.
 Isacco lo guardò e lo squadrò come se fosse alticcio, accennò un sorriso di circostanza e mise in bocca un boccone di pane avanzato.
Allargò il braccio ed esclamò “Boom”.
Franco ferito nell’orgoglio non volendo demordere rincarò la dose
“Ma certo! Ti fai dare il van di Carlo, lo riempi di amici e conoscenti e li porti in giro”.
“Doppio boom” esclamò Isacco, ma Carlo intervenne in soccorso di Franco.
“Certo non è una pessima idea, mi aggiusti il van e lo usi portando in giro i turisti”.
“Siete dei collocatori!?” esclamò Isak
“Vedrai che bella esperienza” insistevano i due.
Isacco era divertito dall’improbabile coppia che cercava di spingerlo ad una nuova attività, era comunque contento nel rivedere un sorriso sul volto di Franco che stava da troppo tempo affrontando una situazione difficile.
Il Barba infatti era deluso e addolorato, a causa dei rapporti sempre più logori con la moglie. Rimaneva per ore con il figlio, mentre la sua consorte provava a rifarsi una vita con un altro.
Franco prese sottobraccio Isacco quasi a rapirlo, quello era il segnale che l’amico usava quando aveva bisogno di confidarsi, così Isacco da ragazzo intelligente si alzò dalla tavola.
Fece per congedarsi da Carlo, ma quello lo prese per l’altro braccio e lo condusse fuori dicendo
“Ancora un minuto” e proseguirono insieme a braccetto tutti e tre verso un deposito di attrezzi.
“Ecco il mio Van con il carrello per i bagagli, lo usavo per raccogliere una dozzina di turisti all’aeroporto. Se lo ripari, te lo presto per tutta la stagione, tanto a me servirà a giugno, se riaprirò il camping”.
“Non saprei che farmene, è bello, è nuovo, ma io sono un insegnante di storia dell’arte e sto aspettando una supplenza”.
“Che non arriverà mai” sorrise amaro Franco.
Carlo lo guardò e disse “Riparamelo dai… Troveremo un accordo come abbiamo sempre fatto io e te”.

Isacco annuì, in fondo era disoccupato e Carlo l’avrebbe comunque ricompensato bene, anzi benissimo conoscendolo.
“Verrò ad imbottigliare l’olio, ora devo lasciarti perché io e Franco dobbiamo parlare”.
La casa di Isacco era a due passi e quelle vie di paese davano un senso di epoca medioevale, sembrava quasi che il tempo non fosse mai trascorso da allora. Entrarono nell’appartamento di Isacco ordinato e pulito, come può esserlo per un single maschio di trentatré anni.
“Qui possiamo parlare, dimmi pure”.
Franco si sentiva in colpa, si sentiva la causa del fallimento del matrimonio, non era stato bravo a sufficienza e cercava di esprimerlo all’amico, ma le solite lacrime lo stroncavano. Isacco non sapeva come agire, ascoltava e ogni tanto cercava di consolarlo con delle parole o con dei gesti affettuosi.
Le vite dei due amici erano state parallele: erano cresciuti insieme dall’asilo alle superiori, avevano frequentato due sorelle, ma Franco si era sposato, mentre Isacco era stato lasciato per un bel notaio, imbattibile in tutti i sensi.
Isacco riprese “Ho sempre creduto di essere stato sfortunato ad essere stato lasciato prima del matrimonio, ma a vedere te credo in fondo di essere stato graziato”.
Franco cercava qualcuno che lo ascoltasse, ma non era in grado di recepire alcun consiglio o alcun conforto. Raccontare lo confortava e lo rasserenava e così continuava a parlare.
Finché non squillò il cellulare, alzò lo sguardo e disse
“Lei, è proprio lei che chiama”.
Dall’altra parte del telefono il tono duro della moglie gli intimava di andare a prendere il figlio dalla suocera e portarlo a casa.
Franco si appoggiò alla poltrona e sospirò
“Non può andare avanti così, solo mio figlio mi trattiene in questo paese. È    ormai la mia unica ragione di vita”.
A sera Isacco restò solo con i propri pensieri, si avvicinò alla libreria ed il suo sguardo si rivolse ad un volume colorato di rosso e giallo, lo estrasse e vide che era una guida della penisola Iberica.
Bei ricordi, l’anno in Spagna era stato il più bello della sua vita, perché non tornarci, forse a vivere.
Iniziò a sfogliarla, le immagini riportavano ricordi, fitti incontri culturali, serate infinite nei piccoli e grandi locali.
Quei tramonti sulla roccia arida che circondava i paesi di Osuna ed Estepa, le case bianche, i vecchi seduti accanto agli ingressi delle case, gli sguardi di donne fiere.
“Tornarci, conosco tutto in fondo, potrei essere una buona guida”.
Iniziò a condensarsi nella sua testa un’idea originale.
Organizzare una gita, raccogliendo tra i suoi compaesani una decina di avventurosi per visitare l’Andalusia, magari utilizzando proprio il Van di Carlo.
Questa idea lo fece sorridere, poi ridere infine si convinse e stabilì che, se entro il ponte di Ognissanti non avesse avuto la supplenza, avrebbe usato proprio quella occasione di incontri con parenti e amici per cercare qualcuno disposto ad accogliere la sua idea.
Si sedette ed iniziò a tracciare un itinerario, che comunque avrebbe tenuto conto dell’età dei gitanti, e dei loro gusti, cercò degli hostal e dei bed and breakfast ed infine calcolò i costi del carburante. Pose la cartina sul tavolo e scherzando indicò le tappe.
Partenza fino ad Avignone, da Avignone a Valencia e quindi Granada. Fermata a Granada e visita della città con successive escursioni per Cordova e Siviglia. Trasferimento a Malaga per festeggiare l’ultimo dell’anno. Poi Cadice ed infine Jeretz.
Per il ritorno avrebbe utilizzato le stesse fermate di Valencia ed Avignone.  
Dal 23 dicembre al 7 gennaio. Quindici giorni a 1200 euro, pranzi esclusi.

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1 commento:

  1. Dopo il movimentato intrigo internazionale di Olena, questo secondo romanzo appare più nostrano e teatrale, direi più "commedia italiana", pur non rinunciando alla trasferta estera. Ma la Spagna c'è solo per il paesaggio, l'arte e la storia, mentre la vita è sempre italiana, popolata com'è di una galleria di personaggi che sono quelli di una commedia, appunto, con tanto di lieto fine.
    Ma c'è una novità: questa volta il piano rappresentativo prende il sopravvento su quello descrittivo, sia pur intenso liricamente. Quasi un originale miscuglio di narrativa e teatralità, che farebbe presagire ad un nuovo sbocco dell'Autore, il genere teatrale, a confermare quanto poliedrica sia la sua arte.

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