domenica 22 ottobre 2017

L'ANGOLO DEL GATTOFILO



Donatella Mascia

Il riscatto del gatto nero

Che notte!

Quel maledetto gattaccio! Proprio a lui doveva tagliare la strada! Nero era nero. Almeno lo sembrava proprio! Magari no: di notte, si sa, tutti i gatti sono bigi. Però, perché rischiare?
Così se ne doveva stare seduto in macchina, al freddo, ad aspettare colui che lo avrebbe liberato dalla iella. Prima o poi sarebbe arrivato lo sprovveduto occasionale. Avrebbe solamente  dovuto oltrepassare la linea di  demarcazione con il malocchio, eh… se la sarebbe presa lui in spalla la maledizione e se la sarebbe portata via…lontano!
Ma guarda tu, proprio la sera della vigilia, e quello non era che l’anticipo! L’antipasto di tutte le calamità che gli sarebbero potute occorrere se non avesse avuto la prudenza di fermarsi. In fondo era solo questione di tempo, di tempo e di pazienza: prima o poi sarebbe pur passato qualcuno! Ma che freddo! si disse rabbrividendo, mentre sollevava il bavero del cappotto. Era una notte veramente inclemente, con il vento che soffiava e l’automobile che oscillava ad ogni raffica. Il lampione mandava una luce sull’asfalto, laggiù davanti a lui, dove aveva visto passare 'la bestia'. Non c’era in giro anima viva. Dove diavolo si erano cacciati tutti quanti?
Sono superstizioso io? si chiese. Ma che superstizioso! Il cappello sul letto, lo specchio rotto…il sale versato, il pianoforte in casa, le ortensie in giardino…quante sciocchezze! Ma con la questione del gatto nero…con quella c’era davvero poco su cui scherzare.
Così non aveva scelta. Invece di andarsene a casa doveva restarsene lì a tempo indeterminato.  Ma a ben pensare, che fretta c’era? Dove doveva correre? Lo aspettava forse qualcuno? No, nessuno.
Da quando Giulia lo aveva abbandonato, lui con le donne aveva chiuso. Basta! si era detto. Ogni giorno da allora aveva continuato a porsi la stessa domanda: come era potuto succedere?  A quella domanda una risposta ancora non l’aveva trovata. Giulia, la sua Giulia, lo aveva lasciato così: il 24 dicembre di due anni prima. Era rientrato a casa e la valigia stava piantata lì,  nel bel mezzo dell’ingresso. Lei era comparsa sulla soglia vestita di tutto punto, con la tenuta delle grandi occasioni: capelli raccolti, cappotto con il collo di pelliccia, tacchi a spillo; gli aveva puntato addosso gli occhi celesti e con tono lapidario aveva scandito sei  parole: “Giorgio-Io-Non-Ti-Amo-Più”. Era uscita sbattendosi la porta alle spalle . Di lei era rimasto solo il profumo ad aleggiare nell’aria. Era finita così! Addio Giulia!
Cavolo che freddo! Ma non passava proprio nessuno da quelle parti?!
Tese l’orecchio e gli parve di sentire un rumore. Il rumore si fece via via più forte. Ah! Stava finalmente arrivando qualcuno! La vide nello specchietto retrovisore con il manubrio alto e le cromature che mandavano bagliori alla luce del lampione, questa è un’Harley Davidson, pensò. Quando la moto gli passò a fianco cercò di vedere il conducente: un tipaccio tutto nero, col casco. Lo colpirono gli stivaletti rossi con le frange da cow boy. La seguì con lo sguardo e la vide  dirigersi verso lo svincolo, direzione Genova Nervi. Poveretto lui, il motociclista!
Riavviò il motore. Finalmente se ne poteva andare a casa! Pochi chilometri di autostrada e si sarebbe accomodato in poltrona, a dormicchiare davanti alla tv.
Certo che il freddo faceva brutti scherzi; appena imboccata l’autostrada si rese conto che fino a casa non ce l’avrebbe proprio fatta. Prese la deviazione e si infilò nell’autogrill. Eccola lì, era proprio lei,  l’Harley  Davidson, ferma davanti al distributore. Provò un senso di compiacimento, guarda la combinazione! Lo avrebbe visto in faccia!
Il locale era semivuoto: solo l’uomo in divisa da Autogrill, dietro il bancone, la cassiera e il motociclista con gli stivaletti rossi. Il tipo era girato di schiena e faceva dondolare il casco, tenendolo per il sottogola.  
Gli passò dietro e corse in bagno; fece tutto in fretta e furia, temendo che quello potesse andarsene e non gli riuscisse di  vederlo in faccia. Quando uscì il tipo era ancora lì, gli dava le spalle, chino sul bancone. Si avvicinò facendo finta di niente. Che diavolo stava facendo?
− Me ne dia un altro! − ordinò l’uomo con voce roca. Doveva essere un fumatore, un fumatore con barba, baffi e capelli arruffati, lunghi nel collo. La cassiera si girò, prese un gratta e vinci  dal festone che aveva appeso dietro la schiena e glie lo porse.
Lui cominciò a grattare frenetico con una moneta, incurante degli  sguardi puntati addosso.
Ad un tratto un urlo lacerante rimbombò nel locale. Il tipo cominciò a saltare sventolando il gratta e vinci.
− Ho vinto! Ho vinto! − gridava a squarciagola, − Ho vinto centomila euro! −
La cassiera, con la bustina rossa sulle ventitré, uscì da dietro il banco. Caspita quant’era piccola!
−Mi faccia vedere! − ordinò al motociclista.
Il tipo le mostrò il foglietto.
− Antonio! − disse lei rivolta al collega − Antonio, ma questo ha vinto veramente! Ha vinto centomila euro! −
− Fa un po’ vedere anche a me! Che a noi ci spetta il dieci percento! −
Antonio corse a vedere e i tre cominciarono a passarsi il biglietto vincente dall’uno all’altro, increduli e festosi.
Ma com’era possibile? Il gatto nero allora? Lasciandoli festanti uscì, preso da una rabbia soffocante; una folata di vento gelido lo investì mentre risaliva sull’auto; dalla piazzola ancora gli giungevano gli echi delle voci gioiose dentro il locale.
− Una spiegazione deve pur esserci! − si disse a voce alta mentre riprendeva la strada di casa.
Quel gatto! Quel gatto era veramente nero? Certo che no! A lui  era solo sembrato! Al buio, come si faceva ad essere sicuri?
Continuava a rimuginare e intanto aveva raggiunto lo svincolo, lo aveva imboccato e aveva percorso la discesa fino allo stradone. Poche centinaia di metri e sarebbe arrivato a casa.
Finalmente! Gli restava solo da parcheggiare. Dopo tre giri attorno al palazzo, alla fine scovò un buchetto angusto che lo costrinse a parecchie manovre. Tra uno sbuffo e uno sbadiglio si apprestava a scendere, quando una vista lo colpì: sotto il suo naso  stava passando un gatto nero come la pece, con la coda dritta e l’andatura dignitosa. Questa volta sul colore non v’erano dubbi, la luce del lampione non lasciava scampo! Se solo il gatto fosse tornato indietro! Se solo avesse ripercorso il tragitto annullando l’attraversamento! Invece lui, il gattaccio, se ne stava lì, ad annusare in religiosa concentrazione un angoletto del gradino. Improvvisamente compì un balzo, all’inseguimento di certe ombre in movimento sul muro. Doveva trattarsi della proiezione dei rami scossi dal vento; il gatto si dedicò con entusiasmo al loro inseguimento, avanti e indietro, su e giù, di qua e di là.
Torna indietro maledetto gattaccio! No, non venire avanti!  Recitava lui a denti stretti.
Il gatto, stanco del gioco, fece ancora qualche passo;  poi compì un balzo e si sistemò sul cofano dell’auto,  proprio davanti a lui, si sdraiò e si mise a sonnecchiare. Ma non restò a lungo, si rialzò e con un altro balzo sparì nel nulla. In che direzione era andato?  Impossibile saperlo!
Pestò i pugni sul volante,  esasperato. Poi si lasciò ricadere sul sedile, con aria affranta. Non sarebbe sceso dalla macchina, si disse! Almeno finché qualcuno prima di lui non fosse entrato nel portone.
Il freddo aveva ora lasciato il posto al gelo e un torpore che non si sapeva se di stanchezza o di intorpidimento, si impadronì delle sue membra. Sprofondò in una sorta di dormiveglia: il motociclista fortunato gli sventolava sulla faccia il gratta e vinci; la cassiera nana faceva segno verso di lui con il dito e rideva, rideva…
Improvvisamente un cicalio lo svegliò, seguito dallo scatto della serratura e il portone si aprì.
Una brunetta si affacciò e cominciò a chiamare, dapprima  a bassa voce, e via via sempre più forte:
−Brunello! Brunellooo! Brunelloooooo! −
Lui se ne restava in macchina senza sapere che fare; l’ideale era che la brunetta percorresse il breve tratto fino a lui e quindi tornasse indietro. La ragazza compì qualche passo sempre continuando a chiamare.
Perfetto, pensò, proprio quello che occorreva! Discese dall’auto e non appena  la ragazza si accorse di lui ebbe un soprassalto, ma lui, con voce tranquillizzante, le domandò:
− Mi scusi, l’ho spaventata? −
Lei  riprese coraggio.
− Per caso ha visto passare un gatto? − domandò speranzosa.
−Nero? −
− Ah, allora lo ha visto! Meno male! − e riprese a chiamare: − Brunello…Brunello dove sei? −
Poi interruppe il richiamo e aggiunse:
− Nero con la pettorina bianca! −
− Come sarebbe…con la pettorina bianca? −
− Ma certo! I gatti neri non esistono! Non lo sapeva? −
− Eh no che non lo sapevo! Questo cambia tutto! −
− Come scusi? Brunellooo…Brunellooo….−
− Niente, niente, una cosa mia! Ma permetta che mi presenti .−
Le tese la mano:
− Mi chiamo Giorgio, Giorgio Fortunato, Fortunato è il cognome. Lei abita qui? −
Si strinsero la mano, quella di lei era calda e morbida; si guardarono, gli occhi di lei erano languidi, o almeno, a lui parve così.
− Piacere Giorgio, io sono Bianca e abito qui soltanto da ieri! −
−Ah ecco! Infatti tanto splendore non avrebbe potuto sfuggirmi! −
Mentre le parole gli uscivano dalle labbra pensava: ma che sto dicendo?
Si sorrisero. Dal buio sbucò un’ombra scura che in un balzo approdò sulle spalle di Bianca, accompagnata da un miao di riconoscenza.
I due ebbero un sussulto, poi risero insieme.
 − Ecco, questo è Brunello; Brunello ti presento Giorgio! −
Giorgio afferrò una zampa del gatto e la strinse:
− Piacere Brunello! Che ne pensate se entriamo. Fa freddo qua fuori! Prego, dopo di voi!−
Nel dubbio! Pensò.




Un anno dopo

Se ne sta seduto in poltrona ad ascoltare i rassicuranti rumori di stoviglie che provengono dalla cucina. Gli piace assaporare l’aria di famiglia che Bianca gli fa aleggiare attorno; gli piace restarsene a oziare nella penombra, con Brunello accovacciato in grembo;  le sue fusa sono una terapia;  il ritmico ron ron gli induce  nel corpo  un  gradevole senso di rilassamento, una certa  spossatezza sana, tipo quella che lo prende subito dopo avere fatto all’amore con lei, con la sua Bianca!
−Chi l’avrebbe detto? Chi mai avrebbe immaginato che tu…un gatto nero…anzi, quasi nero,  mi avresti portato fortuna? −
Brunello socchiude le palpebre, con aria goduta.
− Che dici? Pioverà? − gli grida Bianca dalla cucina?
− Speriamo di no! Altrimenti addio tennis! −
Sì, perché ha ripreso anche a giocare a tennis! Bianca è una campionessa e assesta certi rovesci…che la palla non la fa neppure vedere! E lui perde! Ma non sempre; ogni tanto…Bianca lo lascia vincere! Lui lo sa, ma fa finta di non saperlo.
Però giocare a tennis con Bianca è la sua passione.
Ora Brunello ha smesso di fare le fusa e incomincia a leccarsi; è un tipo meticoloso,  procede dal basso verso l’alto, a partire dalla coda, poi le parti intime, quindi la pancia, la schiena con qualche contorsione, infine la testa. Lì direttamente con la lingua proprio non arriva. E’ costretto al riporto, si lecca la zampa e poi se la passa sopra, proprio tra le orecchie.
−Brunello, non passare dietro le orecchie, ti prego! – dice Giorgio con tono preoccupato.
Il gatto prosegue nelle abluzioni.
−Brunello, no..ti prego! No, non passare l’orecchio! −
Ma la zampa di Brunello scivola via sul pelo bene dietro le orecchie, con movimento ripetuto.
− Cara! Niente tennis! − grida Giorgio. Poi aggiunge:
− Brunello ha passato l’orecchio! Pioverà! –
Bianca si affaccia, in controluce i suoi capelli prendono un luminoso riflesso castano, la figura snella si staglia dal chiaroscuro. Dio, com’è bella! Pensa Giorgio.
–Ehi, non sarai mica superstizioso? – domanda lei con tono ridente.
–Chi? Io? Ma vuoi scherzare? −



1 commento:

  1. Racconto pertinente per la giornata odierna, pensato dall'autrice proprio per questo. Perciò non finiremo mai di elogiarla, anche perchè ha la capacità rara di far assurgere i nostri felini a personaggi e protagonisti assoluti della storia.
    Tra le tante letture fatte sugli animali, dobbiamo dire che Donatella Mascia si caratterizza nel panorama letterario per non far distinzione alcuna tra umani e non: tutte le creature hanno la stessa dignità, lo stesso cuore, la stessa mente. Anzi, i felini manifestano un tratto angelico di cui noi difettiamo parecchio. Noi amiamo questa sua scrittura perchè rispecchia esattamente il nostro pensiero. Soltanto che lei lo sa esprimere in trame intriganti ed esemplare lingua.

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