Che notte!
Quel maledetto gattaccio! Proprio
a lui doveva tagliare la strada! Nero era nero. Almeno lo sembrava proprio!
Magari no: di notte, si sa, tutti i gatti sono bigi. Però, perché rischiare?
Così se ne doveva stare seduto in
macchina, al freddo, ad aspettare colui che lo avrebbe liberato dalla iella.
Prima o poi sarebbe arrivato lo sprovveduto occasionale. Avrebbe solamente dovuto oltrepassare la linea di demarcazione con il malocchio, eh… se la
sarebbe presa lui in spalla la maledizione e se la sarebbe portata via…lontano!
Ma guarda tu, proprio la sera
della vigilia, e quello non era che l’anticipo! L’antipasto di tutte le
calamità che gli sarebbero potute occorrere se non avesse avuto la prudenza di
fermarsi. In fondo era solo questione di tempo, di tempo e di pazienza: prima o
poi sarebbe pur passato qualcuno! Ma che freddo! si disse rabbrividendo, mentre
sollevava il bavero del cappotto. Era una notte veramente inclemente, con il
vento che soffiava e l’automobile che oscillava ad ogni raffica. Il lampione
mandava una luce sull’asfalto, laggiù davanti a lui, dove aveva visto passare 'la
bestia'. Non c’era in giro anima viva. Dove diavolo si erano cacciati tutti
quanti?
Sono superstizioso io? si chiese.
Ma che superstizioso! Il cappello sul letto, lo specchio rotto…il sale versato,
il pianoforte in casa, le ortensie in giardino…quante sciocchezze! Ma con la
questione del gatto nero…con quella c’era davvero poco su cui scherzare.
Così non aveva scelta. Invece di
andarsene a casa doveva restarsene lì a tempo indeterminato. Ma a ben pensare, che fretta c’era? Dove
doveva correre? Lo aspettava forse qualcuno? No, nessuno.
Da quando Giulia lo aveva
abbandonato, lui con le donne aveva chiuso. Basta! si era detto. Ogni giorno da
allora aveva continuato a porsi la stessa domanda: come era potuto
succedere? A quella domanda una risposta
ancora non l’aveva trovata. Giulia, la sua Giulia, lo aveva lasciato così: il
24 dicembre di due anni prima. Era rientrato a casa e la valigia stava piantata
lì, nel bel mezzo dell’ingresso. Lei era
comparsa sulla soglia vestita di tutto punto, con la tenuta delle grandi
occasioni: capelli raccolti, cappotto con il collo di pelliccia, tacchi a
spillo; gli aveva puntato addosso gli occhi celesti e con tono lapidario aveva
scandito sei parole:
“Giorgio-Io-Non-Ti-Amo-Più”. Era uscita sbattendosi la porta alle spalle . Di
lei era rimasto solo il profumo ad aleggiare nell’aria. Era finita così! Addio
Giulia!
Cavolo che freddo! Ma non passava
proprio nessuno da quelle parti?!
Tese l’orecchio e gli parve di
sentire un rumore. Il rumore si fece via via più forte. Ah! Stava finalmente
arrivando qualcuno! La vide nello specchietto retrovisore con il manubrio alto e
le cromature che mandavano bagliori alla luce del lampione, questa è un’Harley
Davidson, pensò. Quando la moto gli passò a fianco cercò di vedere il conducente:
un tipaccio tutto nero, col casco. Lo colpirono gli stivaletti rossi con le
frange da cow boy. La seguì con lo sguardo e la vide dirigersi verso lo svincolo, direzione Genova
Nervi. Poveretto lui, il motociclista!
Riavviò il motore. Finalmente se
ne poteva andare a casa! Pochi chilometri di autostrada e si sarebbe accomodato
in poltrona, a dormicchiare davanti alla tv.
Certo che il freddo faceva brutti
scherzi; appena imboccata l’autostrada si rese conto che fino a casa non ce
l’avrebbe proprio fatta. Prese la deviazione e si infilò nell’autogrill. Eccola
lì, era proprio lei, l’Harley Davidson, ferma davanti al distributore.
Provò un senso di compiacimento, guarda la combinazione! Lo avrebbe visto in
faccia!
Il locale era semivuoto: solo l’uomo
in divisa da Autogrill, dietro il bancone, la cassiera e il motociclista con
gli stivaletti rossi. Il tipo era girato di schiena e faceva dondolare il
casco, tenendolo per il sottogola.
Gli passò dietro e corse in bagno;
fece tutto in fretta e furia, temendo che quello potesse andarsene e non gli
riuscisse di vederlo in faccia. Quando
uscì il tipo era ancora lì, gli dava le spalle, chino sul bancone. Si avvicinò
facendo finta di niente. Che diavolo stava facendo?
− Me ne dia un altro! − ordinò l’uomo
con voce roca. Doveva essere un fumatore, un fumatore con barba, baffi e
capelli arruffati, lunghi nel collo. La cassiera si girò, prese un gratta e
vinci dal festone che aveva appeso
dietro la schiena e glie lo porse.
Lui cominciò a grattare frenetico
con una moneta, incurante degli sguardi
puntati addosso.
Ad un tratto un urlo lacerante
rimbombò nel locale. Il tipo cominciò a saltare sventolando il gratta e vinci.
− Ho vinto! Ho vinto! − gridava a
squarciagola, − Ho vinto centomila euro! −
La cassiera, con la bustina rossa
sulle ventitré, uscì da dietro il banco. Caspita quant’era piccola!
−Mi faccia vedere! − ordinò al
motociclista.
Il tipo le mostrò il foglietto.
− Antonio! − disse lei rivolta al
collega − Antonio, ma questo ha vinto veramente! Ha vinto centomila euro! −
− Fa un po’ vedere anche a me!
Che a noi ci spetta il dieci percento! −
Antonio corse a vedere e i tre
cominciarono a passarsi il biglietto vincente dall’uno all’altro, increduli e
festosi.
Ma com’era possibile? Il gatto
nero allora? Lasciandoli festanti uscì, preso da una rabbia soffocante; una
folata di vento gelido lo investì mentre risaliva sull’auto; dalla piazzola
ancora gli giungevano gli echi delle voci gioiose dentro il locale.
− Una spiegazione deve pur
esserci! − si disse a voce alta mentre riprendeva la strada di casa.
Quel gatto! Quel gatto era
veramente nero? Certo che no! A lui era
solo sembrato! Al buio, come si faceva ad essere sicuri?
Continuava a rimuginare e intanto
aveva raggiunto lo svincolo, lo aveva imboccato e aveva percorso la discesa
fino allo stradone. Poche centinaia di metri e sarebbe arrivato a casa.
Finalmente! Gli restava solo da
parcheggiare. Dopo tre giri attorno al palazzo, alla fine scovò un buchetto
angusto che lo costrinse a parecchie manovre. Tra uno sbuffo e uno sbadiglio si
apprestava a scendere, quando una vista lo colpì: sotto il suo naso stava passando un gatto nero come la pece, con
la coda dritta e l’andatura dignitosa. Questa volta sul colore non v’erano
dubbi, la luce del lampione non lasciava scampo! Se solo il gatto fosse tornato
indietro! Se solo avesse ripercorso il tragitto annullando l’attraversamento!
Invece lui, il gattaccio, se ne stava lì, ad annusare in religiosa
concentrazione un angoletto del gradino. Improvvisamente compì un balzo,
all’inseguimento di certe ombre in movimento sul muro. Doveva trattarsi della
proiezione dei rami scossi dal vento; il gatto si dedicò con entusiasmo al loro
inseguimento, avanti e indietro, su e giù, di qua e di là.
Torna indietro maledetto gattaccio!
No, non venire avanti! Recitava lui a
denti stretti.
Il gatto, stanco del gioco, fece
ancora qualche passo; poi compì un balzo
e si sistemò sul cofano dell’auto,
proprio davanti a lui, si sdraiò e si mise a sonnecchiare. Ma non restò
a lungo, si rialzò e con un altro balzo sparì nel nulla. In che direzione era
andato? Impossibile saperlo!
Pestò i pugni sul volante, esasperato. Poi si lasciò ricadere sul
sedile, con aria affranta. Non sarebbe sceso dalla macchina, si disse! Almeno
finché qualcuno prima di lui non fosse entrato nel portone.
Il freddo aveva ora lasciato il
posto al gelo e un torpore che non si sapeva se di stanchezza o di
intorpidimento, si impadronì delle sue membra. Sprofondò in una sorta di
dormiveglia: il motociclista fortunato gli sventolava sulla faccia il gratta e vinci;
la cassiera nana faceva segno verso di lui con il dito e rideva, rideva…
Improvvisamente un cicalio lo
svegliò, seguito dallo scatto della serratura e il portone si aprì.
Una brunetta si affacciò e
cominciò a chiamare, dapprima a bassa
voce, e via via sempre più forte:
−Brunello! Brunellooo!
Brunelloooooo! −
Lui se ne restava in macchina
senza sapere che fare; l’ideale era che la brunetta percorresse il breve tratto
fino a lui e quindi tornasse indietro. La ragazza compì qualche passo sempre
continuando a chiamare.
Perfetto, pensò, proprio quello
che occorreva! Discese dall’auto e non appena la ragazza si accorse di lui ebbe un
soprassalto, ma lui, con voce tranquillizzante, le domandò:
− Mi scusi, l’ho spaventata? −
Lei riprese coraggio.
− Per caso ha visto passare un
gatto? − domandò speranzosa.
−Nero? −
− Ah, allora lo ha visto! Meno
male! − e riprese a chiamare: − Brunello…Brunello dove sei? −
Poi interruppe il richiamo e
aggiunse:
− Nero con la pettorina bianca! −
− Come sarebbe…con la pettorina
bianca? −
− Ma certo! I gatti neri non
esistono! Non lo sapeva? −
− Eh no che non lo sapevo! Questo
cambia tutto! −
− Come scusi?
Brunellooo…Brunellooo….−
− Niente, niente, una cosa mia!
Ma permetta che mi presenti .−
Le tese la mano:
− Mi chiamo Giorgio, Giorgio
Fortunato, Fortunato è il cognome. Lei abita qui? −
Si strinsero la mano, quella di
lei era calda e morbida; si guardarono, gli occhi di lei erano languidi, o
almeno, a lui parve così.
− Piacere Giorgio, io sono Bianca
e abito qui soltanto da ieri! −
−Ah ecco! Infatti tanto splendore
non avrebbe potuto sfuggirmi! −
Mentre le parole gli uscivano
dalle labbra pensava: ma che sto dicendo?
Si sorrisero. Dal buio sbucò un’ombra
scura che in un balzo approdò sulle spalle di Bianca, accompagnata da un miao
di riconoscenza.
I due ebbero un sussulto, poi
risero insieme.
− Ecco, questo è Brunello; Brunello ti
presento Giorgio! −
Giorgio afferrò una zampa del
gatto e la strinse:
− Piacere Brunello! Che ne pensate
se entriamo. Fa freddo qua fuori! Prego, dopo di voi!−
Nel dubbio! Pensò.
Un anno dopo
Se ne sta seduto in poltrona ad
ascoltare i rassicuranti rumori di stoviglie che provengono dalla cucina. Gli
piace assaporare l’aria di famiglia che Bianca gli fa aleggiare attorno; gli
piace restarsene a oziare nella penombra, con Brunello accovacciato in grembo; le sue fusa sono una terapia; il ritmico ron ron gli induce nel corpo
un gradevole senso di
rilassamento, una certa spossatezza
sana, tipo quella che lo prende subito dopo avere fatto all’amore con lei, con
la sua Bianca!
−Chi l’avrebbe detto? Chi mai
avrebbe immaginato che tu…un gatto nero…anzi, quasi nero, mi avresti portato fortuna? −
Brunello socchiude le palpebre,
con aria goduta.
− Che dici? Pioverà? − gli grida
Bianca dalla cucina?
− Speriamo di no! Altrimenti
addio tennis! −
Sì, perché ha ripreso anche a
giocare a tennis! Bianca è una campionessa e assesta certi rovesci…che la palla
non la fa neppure vedere! E lui perde! Ma non sempre; ogni tanto…Bianca lo
lascia vincere! Lui lo sa, ma fa finta di non saperlo.
Però giocare a tennis con Bianca
è la sua passione.
Ora Brunello ha smesso di fare le
fusa e incomincia a leccarsi; è un tipo meticoloso, procede dal basso verso l’alto, a partire
dalla coda, poi le parti intime, quindi la pancia, la schiena con qualche
contorsione, infine la testa. Lì direttamente con la lingua proprio non arriva.
E’ costretto al riporto, si lecca la zampa e poi se la passa sopra, proprio tra
le orecchie.
−Brunello, non passare dietro le
orecchie, ti prego! – dice Giorgio con tono preoccupato.
Il gatto prosegue nelle
abluzioni.
−Brunello, no..ti prego! No, non
passare l’orecchio! −
Ma la zampa di Brunello scivola
via sul pelo bene dietro le orecchie, con movimento ripetuto.
− Cara! Niente tennis! − grida
Giorgio. Poi aggiunge:
− Brunello ha passato l’orecchio!
Pioverà! –
Bianca si affaccia, in controluce
i suoi capelli prendono un luminoso riflesso castano, la figura snella si
staglia dal chiaroscuro. Dio, com’è bella! Pensa Giorgio.
–Ehi, non sarai mica
superstizioso? – domanda lei con tono ridente.
–Chi? Io? Ma vuoi scherzare? −